«Mamma, un giorno guariremo dal diabete?»
Avevo 20 anni quando ho scoperto di avere il diabete di tipo 1. Ho cominciato a perdere peso, avevo sempre sete e continuavo ad andare in bagno. Mi sentivo stanca, tanto da far fatica a camminare. Dentro di me una voce mi diceva che ero malata come mia nonna, insulino-dipendente, con cui sono cresciuta. Ma temevo una possibile diagnosi.
Fino a quando una domenica di maggio sono stata male. Il giorno successivo, Massimiliano, oggi mio marito, mi ha “obbligata” a sottopormi a degli esami. I valori della glicemia erano altissimi. L’impatto in ospedale è stato brutale. Mi mostrarono come iniettarmi l’insulina, ai tempi si usavano ancora le siringhe. Mi dissero: “Se vuoi mangiare, devi imparare a farti l’insulina!”. Quel giorno non mangiai. Ma poi dovetti accettare la cosa: tre iniezioni al giorno, oltre ai necessari costanti controlli della glicemia.
Due anni dopo venni in contatto con il San Raffaele e cominciai a essere seguita dai diabetologi dell’Ospedale. Mi fu dato un microinfusore. Fu una bella sensazione poter tornare a mangiare liberamente, l’insulina di cui necessitavo veniva regolata in automatico. Rimaneva il fatto che avevo vent’anni e non era facile dover affrontare i limiti di questa malattia.
Ho imparato a conviverci. Io e Massimiliano ci sposammo e il giorno del mio matrimonio, nascosto nel mio abito bianco da sposa, in una taschina c’era il microinfusore, ormai anche lui compagno della mia vita. Arrivò anche la prima gravidanza. Fu meraviglioso. Prima ancora del concepimento avevamo parlato con i medici e mi avevano seguito per tenere tutto sotto controllo. Fu un’esperienza stupenda: Sebastiano nacque naturalmente, tutto andò bene e lui - ora ha 15 anni - è in piena salute.
Non pensavamo a un secondo figlio, ma qualche anno dopo un giorno scoprii di essere nuovamente incinta. Il primo pensiero è stato il diabete! Non avevo seguito i controlli fatti per la prima gravidanza. Il mio diabetologo mi ha seguito scrupolosamente ogni giorno per far scendere i valori e mantenerli bassi. Non ho vissuto questa gravidanza con la stessa serenità della precedente. Filippo è nato all’ottavo mese, ipoglicemico dopo un parto difficile e particolarmente doloroso.
Le mie preoccupazioni rientrarono per un po’: Filippo si rivelò un bimbo bravissimo, tutto procedeva serenamente.
Fino a quando un giorno di dicembre, a 1 anno e mezzo di vita, Filippo pur non potendo parlarmi, mi fece capire che qualcosa non andava. Era molto irrequieto, non riusciva a dormire il pomeriggio e la notte lo trovai nel lettino con il pigiamino completamente bagnato di pipì. Mi spaventai moltissimo e d’istinto gli provai la glicemia. Sul display comparve “HI”, segno che il valore era molto alto. Ci precipitammo al pronto soccorso del San Raffaele.
Mentre percorrevamo quei chilometri interminabili da Chiavenna a Milano, non riuscivo a smettere di pensare che era colpa mia. È stato così che abbiamo incontrato per la prima volta il dottor Bonfanti, pediatra diabetologo.
Mio figlio oggi ha 11 anni, a volte mi guarda con quegli occhioni e mi chiede: “Mamma, perché Sebastiano non è malato e io si?”. E’ difficile per un genitore spiegare al proprio figlio una cosa del genere e allora lui mi dice: “Sì mamma lo so, io sono come te e Sebastiano come papà”.
Filippo è sempre stato ed è tuttora un bambino sereno, felice. Mi pone molte domande, ma poi torna a giocare con gli amici e a dedicarsi al suo sport preferito, l’hockey. Gli altri bambini con lui si comportano normalmente, sanno della sua malattia e lo trattano con rispetto. Per fortuna nessuno lo ha mai fatto sentire ‘diverso’. Spero che possa essere così anche in futuro.
Due anni fa il dottor Bonfanti ci ha raccontato di uno studio sperimentale che sarebbe iniziato a breve portato avanti da un gruppo di cinque ospedali italiani, tra cui il San Raffaele, per sperimentare il cosiddetto ‘pancreas artificiale’ nei bambini, in grado di predisporre la giusta quantità di insulina a seconda del bisogno. Stavano cercando pazienti con caratteristiche ed età di Filippo. Eravamo lusingati di essere coinvolti e abbiamo accettato. Il primo incontro si è tenuto a Padova ed è durato una settimana. E’ stata un’esperienza fantastica. Per la prima volta Filippo incontrava molti altri bambini che, come lui, portavano il microinfusore. Mi diceva entusiasta: “Mamma, qui tutti hanno il diabete come me!”. I bambini diabetici sanno che devono imparare a gestire la malattia, giocando e correndo la glicemia si abbassa e devono fermarsi per ristabilire i valori. I suoi amici a casa – non capendo questa esigenza – lo spronano sempre a tornare in fretta a giocare. Lì invece tutti sapevano rispettare il tempo di recupero dell’altro. È stata una sensazione strana ed emozionante vederli così consapevoli. Per Filippo è stata una vacanza a 5 stelle. Si è fatto tantissimi amici tra cui Ginevra, un anno meno di lui, con cui ha stabilito un legame fortissimo . È poi seguita una seconda fase sperimentale e ora speriamo che questo studio possa portare buoni frutti.
In attesa che la ricerca arrivi finalmente a trovare una soluzione definitiva per questa malattia, oggi io e Filippo viviamo la nostra quotidianità entrambi con un sensore e un microinfusore che ci semplificano davvero molto la vita. Sono piccoli apparecchi, tipo dei cellulari o poco più grandi, certo un po’ invadenti, ma ci permettono di essere molto più sereni e avere meno ansie. Anche Filippo ha imparato a vederli come ‘compagni’ che si preoccupano di lui e ci diciamo: “C’è chi deve portare gli occhiali, noi il microinfusore!”.
Come vediamo il futuro? Ogni volta che arriva il 12 dicembre, la data della diagnosi, pensiamo che Filippo ha sulle spalle un anno in più di diabete e di tutti i problemi che questo comporta.
Anche per questo contiamo i giorni che mancano per trovare una cura definitiva. Noi crediamo nella ricerca e siamo certi che arriverà il giorno in cui il diabete sarà sconfitto e saremo liberi da questa malattia, io, Filippo, Ginevra e tutti i malati.
Valentina