La storia di Elisabetta e Carlo
Tutto cominciò quattro anni fa. Mio marito Carlo usciva da una semplice influenza, ma persistevano forte stanchezza e ansia ricorrente che peggiorava nonostante gli ansiolitici ed era sempre più associata a difficoltà a dormire. Si pensò a una depressione.
Aveva 64 anni, arrivato alla pensione dopo una vita lavorativa piena e soddisfacente che lo portava per lunghi periodi all’estero. Ha girato per tutto il mondo.
Gli ultimi otto anni li ha vissuti in Cina. Abbiamo imparato a essere indipendenti l’uno dall’altro, anche se appena possibile lo raggiungevo e visitavamo insieme quei pezzetti di mondo.
Arrivato alla pensione, manteneva un’attività di consulenza. Non ha mai voluto ‘fermarsi’ con la mente, sempre attiva e brillante.
Ma ci siamo ritrovati all’improvviso in tutt’altra realtà.
Dopo qualche mese l’insonnia era diventata ingestibile, riposavamo solo due o tre ore per notte. Una notte di luglio, arrivò un drammatico attacco di panico, che però si risolse in qualche ora.
Dopo quell’evento, lo psichiatra mise a punto una terapia che funzionò per poco, erano cominciati squilibri preoccupanti e allucinazioni. Era questo un segno tipico della malattia che poi scoprimmo, una volta approdati all’Ospedale San Raffaele, essere la demenza da corpi di Lewy.
Tornare a una normale vita quotidiana non era più possibile, ma trovare un nuovo equilibrio sì. Per lui. E per la nostra famiglia. Periodici ricoveri permettono ancora oggi di adattare le terapie costruite su misura per lui. Nonostante questo la nostra serenità viaggia su un filo sottile, i momenti di lucidità si alternano a quelli di completa confusione. Il destino ha voluto regalarci questa lucidità il giorno del matrimonio di nostro figlio. Il regalo più bello per lui.
Così scorreva la nostra vita fino al mese scorso, quando Carlo è caduto in casa e si è fratturato il femore, complicando maggiormente la situazione.
Ora affrontiamo il periodo di recupero per poter tornare a casa. La vita in ospedale priva delle costanti rassicuranti abitudini casalinghe: una passeggiata nel parco vicino a casa con Duda, il nostro cane, la tv durante il pranzo, la seduta di fisioterapia (il suo miglior farmaco) in palestra, la visita dei nostri amici per una cena in compagnia. Tutto ciò che può dare un po’ di tranquillità e qualche momento di gioia a una persona che piano piano sta perdendo tutte le sue certezze, mentre la mente e i ricordi si allontanano sempre più da lui.
Questa è una malattia dove l’emotività gioca un ruolo di grosso peso. È una malattia che toglie tutti i filtri, porta Carlo a parlare con naturalezza dei ricordi che gli sono rimasti nei momenti di lucidità, di segreti che aveva fatto solo suoi e che ora sente di poter sfogare, condividere con la naturalezza di un bambino. Ho imparato in questi anni a sorridere, stare al suo fianco con tenacia, tanta pazienza e un’infinita dolcezza di cui non posso privarmi. Ci sono momenti in cui lo vedo assente, capisco che sta elaborando con la testa i suoi tormenti. E poi a volte risponde in modo sorprendente e inaspettato, torna a essere l’uomo che conoscevo: quel suo sorriso luminoso alla visita di nostro figlio e nostra nuora, un apprezzamento a un piatto che ho cucinato, un ricordo che affiora. Una grossa emozione per me.
Il nostro cane Duda, un labrador nero, maschio, gli è sempre accanto a casa. E molto legato a lui ed è incredibile come percepisca l’arrivo di una crisi del suo padrone o un piccolo peggioramento delle sue condizioni. Corre a prendere un gioco dal suo cesto per portarglielo, cercare di distrarlo, di rasserenarlo. Partecipa anche lui alla nostra quotidianità cercando di dare, a suo modo, un contributo e un conforto.
lo e Carlo ci conosciamo da quando avevamo 19 anni. Siamo coetanei. Mi fa sorridere oggi il pensiero che lui è sempre stato un ipocondriaco. In ogni vacanza non mancavamo di conoscere il medico del luogo di villeggiatura: c’era sempre un malessere o qualche strano sintomo che percepiva.
Per me ogni giorno è una sfida. Devo imparare a capire come comportarmi in ogni situazione e adattarmi a lui, cambiando atteggiamento di volta in volta. È un bagaglio gravoso che bisogna imparare a gestire.
È importante, per chi si trova in situazioni come la mia, trovare una valvola di sfogo, ognuno ha la sua. Uno spazio personale che permette di riacquisire energie e ritrovare il giusto equilibrio per conservare, anche in momenti della vita diffìcili, l’aspetto positivo e l’amore che proviamo per le persone che abbiamo accanto.
Sarebbe bello sapere, un giorno, che anche per questo tipo di malattia si inizierà a fare ricerca. Oggi quello che chiedo e posso sperare per Carlo è la possibilità di una vita il più dignitosa possibile, anche in queste condizioni.