La ricerca sulle CAR-T mi ha salvato la vita

Franca 800

 Sono passati tre anni e mezzo da quando mi sono sottoposta all’infusione di CAR-T, una terapia innovativa da poco entrata in pratica clinica. L’unica alternativa in quel momento ad arrendermi al Linfoma che non rispondeva più alle chemioterapie.

Mi accorsi nella primavera del 2018 che qualcosa non andava. Avevo notato un rigonfiamento nella zona inguinale ma inizialmente sembrava trattarsi di una “banale” cisti ovarica. L’estate di quell’anno, due mesi prima che mio marito mancasse per una carcinosi peritoneale, i medici sospettarono un tumore per cui dovetti affrontare un intervento all’addome. Fu un periodo molto difficile. 

Per le sedute di chemioterapia necessarie a post intervento arrivai all’Ospedale San Raffaele. Qui mi diagnosticarono un linfoma non-Hodgkin, mi sottoposi alle cure e per un po’ andò tutto bene. Due anni dopo, la malattia si ripresentò e dovetti ricominciare tutto da capo: gli esami, i viaggi in ospedale, le visite mediche, lo sconforto e la speranza. La chemioterapia però non dava più benefici, solo pesanti e gravi effetti collaterali.  

I medici che mi avevano in cura mi proposero una nuova cura innovativa ma ancora sperimentale: la terapia CAR-T, l’unica alternativa alla sconfitta. Mi spiegarono i benefici, ma anche gli alti rischi che avrei dovuto correre, tra cui il disturbo della conoscenza, il mio più grande timore. 

Uscii dall’ambulatorio molto perplessa sulla scelta da fare. Nessuno tra le mie conoscenze sapeva cosa fossero le CAR-T. Le mie figlie, Elisa e Sara, mi fecero forza e decisi di fare una scelta coraggiosa: accettare e mettermi totalmente nelle mani di medici che volevano a tutti i costi salvarmi la vita. Nel frattempo le mie forze svanivano sempre di più, ero sempre stanca, non riuscivo nemmeno a guidare la macchina e avevo sempre bisogno di essere accompagnata.

All’inizio di ottobre del 2021 mi ricoverai. I medici prelevarono i miei linfociti per ingegnerizzarli e reinfondermeli una volta “guariti”. Fu un altro periodo difficile. Rimasi settimane isolata nella mia stanza nel reparto di Ematologia, senza poter vedere la mia famiglia, le mie figlie, i miei adorati nipoti. 

Sperimentai cosa significa mettere la propria esistenza nelle mani di medici, che dimostravano quotidianamente la loro competenza, la loro umanità, la loro determinazione. Capii che erano lì intorno a me, non solo per raggiungere un successo terapeutico, ma anche per farmi stare bene. 

Fui dimessa circa 20 giorni dopo con un intenso piano di controlli, verifiche, test per valutare costantemente quel che accadeva al mio corpo. E un giorno, comincia a sentirmi meglio. Piano piano, gradualmente ricominciavo a vivere

Oggi la malattia è completamente debellata. Sto bene, conduco una vita semplice e faccio la nonna a tempo pieno! La mattina sistemo casa da sola, faccio la spesa, cucino per i miei nipoti, Pietro e Chiara, che dopo la scuola vengono dalla loro nonna “boomer”, come mi chiamano loro. Nel pomeriggio qualche volta faccio una camminata, incontro qualche conoscente del paese, faccio due chiacchiere e poi aspetto la mia nipotina Giulia che esce da scuola. Insieme giochiamo a dama o a carte, lei si diverte molto a vincere! Mi chiede di insegnarle ad attaccare i bottoni, lavorare a maglia, fare torte e polpette. Non ci fermiamo mai!

La malattia mi ha reso più grata alla vita. Ora apprezzo moltissimo tante cose che prima davo per scontate: la vicinanza delle mie figlie, il vicino di casa che mi chiede come sto, un mio ex alunno che mi saluta per strada. Ma soprattutto svegliarmi la mattina e rendermi conto di essere ancora in grado di alzarmi, di avere forza e poter fare! 

Sono totalmente grata ai medici che mi hanno salvata, ai ricercatori e a chi la ricerca la sostiene con il cuore. Mi sento però di ringraziare anche gli altri malati che - come ho fatto io - si mettono a disposizione della ricerca con tanto coraggio perché è anche questo che permette alla ricerca di crescere. 

Se non ci fosse stata la ricerca, io oggi non sarei qui.

Franca , ex-paziente onco-ematologico dell’Ospedale San Raffaele
(oggi semplicemente, nonna!)

 

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