Sì, ho il diabete, ma ora fatemi tornare a giocare
Era il 1 gennaio 2005 e mia figlia aveva solo 10 anni. Una mattina si è alzata gridando perché non ci vedeva più, nel vero senso della parola. Semplicemente il suo mondo era improvvisamente diventato sporco, opaco, appannato.
Per un mese circa girammo ogni tipo di ospedale e di oculista. Tutti ci dicevano la stessa cosa: “vostra figlia ha un’opacità a entrambi gli occhi, dobbiamo fare degli accertamenti”.
E poi un giorno le fu diagnosticata la cataratta, anche se insolita per la sua età, e le fu fissato l’intervento chirurgico. Nel corso degli esami preoperatori scoprimmo una glicemia a digiuno altissima: 674!
Fu portata d’urgenza in un ospedale specializzato, reparto di endocrinologia pediatrica. All’arrivo fummo accolti da un’infermiera con parole che non scorderò mai: “ma tu come hai fatto a non finire in coma?”
Da lì è iniziato il nostro percorso con il diabete: un mese di ricovero in cui Martina ha imparato a farsi le punture, a forarsi le dita almeno 4 volte al giorno e, dato che al tempo non ci avevano ancora insegnato ‘la conta dei carboidrati’, anche a non mangiare più la pasta con il purè, la pasta con il pane, la pizza con le patate…
Lei mi guardava con i suoi occhi grandissimi e sembrava volesse dirci: “Ok, sono malata, ma ora fatemi tornare a giocare, a correre, a colorare, a leggere, a cantare!”
E’ sempre stata coraggiosa la mia bambina e ora che è cresciuta ha imparato a convivere con questo invadente compagno, a conoscerlo e gestirlo giorno per giorno per non farsi limitare nella sua vita. Ha vissuto la sua adolescenza come i suoi coetanei, ha studiato ciò che amava, si è laureata e ha iniziato a lavorare. Ha scelto la sua strada!
Una cosa le ha dato forza in tutti questi anni: affrontare la malattia. Consapevole di non poterla negare, ha deciso di conoscerla e ha scoperto che la ricerca è l’unico vero alleato che abbiamo per contrastarla.
Claudia